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L'ultimo acquisto della flotta NUMA cominciò a imbarcare acqua pochi minuti dopo la partenza. Pur non potendosi definire traumatico, il passaggio dalla calma piatta del porto alle onde del mare aperto bastò ad aprire numerose fessure nel fasciame del vecchio scafo. Austin, che era alla barra, si rese conto che il timone rispondeva pigramente, mentre la barca sembrava appiattirsi sulle onde. Azionò l'interruttore della pompa di sentina, ma il motore rifiutò di avviarsi.
«Dovevano chiamarla Sciacquone scassato», grugnì.
«Ci penso io», si offrì Zavala. Nel cuore di ogni ingegnere di successo si nasconde un meccanico, e Zavala non faceva eccezione: la sua felicità più grande era di poter immergere le dita nel grasso di una macchina. S'infilò sottocoperta attraverso un boccaporto e dopo un paio di minuti gridò all'amico: «Prova adesso». Con una serie di ansiti e sfrigolii, la pompa diede segni di vita. Quando tornò sopracoperta, Joe sembrava un'astina dell'olio motore, ma la faccia bisunta era illuminata da un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
«Manuale di riparazione motori, capitolo centouno. Quando tutto il resto non serve, cerca un filo staccato.»
L'intervento era stato quanto mai provvidenziale: la barca cominciò a sbandare come un'auto con una gomma a terra, ma la pompa di sentina prese a lavorare eroicamente sino ad avere la meglio sulle falle, e nel giro di pochi minuti riportò a livelli di galleggiamento ragionevoli lo Spooter, che poté proseguire verso la sua meta.
Nel frattempo, Austin aveva scoperto che, quando non era in procinto di affondare, la bagnarola rispondeva decisamente bene ai comandi. Il creeler era creato apposta per quel tipo di mare, e la prua ricurva solcava le onde impetuose con la grazia di una canoa in uno stagno. Con il vento in poppa e il motore che ronzava caparbio mancando solo qualche colpo di quando in quando, stavano attraversando la baia a una media soddisfacente.
Austin lanciò un'occhiata allo schermo radar e vide che erano in rotta.
Provò a sbirciare attraverso il vetro coperto di spruzzi, ma non vide che tenebre. Non appena Zavala arrivò a dargli il cambio, uscì dalla timoniera e sentì sul viso lo schiaffo gelato dell'aria salmastra. D'un tratto di fronte a sé avvertì, più che vedere, una massa scura emergere dal mare ancor più buio.
Tornò di corsa verso il tepore della timoniera.
«L'isola dovrebbe essere proprio di fronte a noi», annunciò.
Lo Spooter proseguì la sua corsa nella notte, e a poco a poco la spettrale presenza avvertita da Austin cominciò a delinearsi nell'oscurità. Il profilo della costa spiccava netto contro il blu nerastro del cielo. Austin ruotò leggermente il timone a dritta deviando di qualche grado. C'erano buone probabilità che la barca fosse sorvegliata, e intendeva dare agli eventuali osservatori l'impressione di voler circumnavigare l'isola.
Sarebbe stato più difficile ingannare gli occhi e le orecchie elettronici dell'AUV con una finta, ma non era comunque un'impresa impossibile.
Dopo aver studiato attentamente le fotografie scattate dal satellite nei differenti orari, Austin aveva inserito nel computer i vari spostamenti del veicolo sottomarino, pur tenendo conto che la formula era soggetta ai capricci dell'uomo e della natura. Effettuata una mappatura dei suoi movimenti, aveva estrapolato la probabile tabella di marcia del veicolo. Periodicamente, il mezzo rientrava alla base per ricaricare le batterie.
Controllò l'orologio. L'AUV doveva trovarsi sull'altro lato dell'isola.
Nella speranza di riuscire a eludere il radar, girò il timone in modo da portare lo Spooter più vicino alle scogliere, pregando che i propri calcoli fossero esatti.
Il centro comando incaricato di proteggere l'isola da estranei ficcanaso era alloggiato in una tozza costruzione in cemento dal tetto piatto alla bocca dell'insenatura. Una metà dell'edificio era occupata da strumenti elettronici di sorveglianza, mentre il restante cinquanta per cento veniva utilizzato per alloggiare le dodici guardie che gestivano la postazione.
Il contingente era stato suddiviso in squadre di quattro unità ciascuna, che operavano su tre turni. Durante il giorno, tre guardie pattugliavano il perimetro dell'isola in barca, mentre il quarto uomo rimaneva a presiedere il centro comando.
La sera, invece, la routine cambiava. Durante il turno di notte, l'imbarcazione di ronda restava a terra poiché gli scogli acuminati affioranti tutto intorno all'isola rendevano oltremodo pericolosa la navigazione al buio, ma veniva tenuta in stato d'allerta, pronta a intervenire nel caso che l'AUV o il radar avesse rilevato la presenza di estranei. I componenti della squadra di notte si occupavano a turno di ricaricare le batterie del robot sottomarino presso la stazione elettrica situata sul molo.
L'operatore radar, un mercenario tedesco di nome Max, aveva notato il segnale sullo schermo molto tempo prima che lo Spooter si fosse avvicinato, ed era rimasto a osservarlo mentre cambiava rotta puntando verso la costa. Sapeva per esperienza che le barche da pesca uscivano raramente di notte, ma si rilassò quando vide il segnale oltrepassare l'isola. Accesa una sigaretta, sfogliò per qualche minuto le consunte pagine di una rivista porno, poi i suoi occhi scivolarono di nuovo verso il monitor. Nulla. Imprecando, spense la sigaretta nel portacenere e si protese in avanti, con il naso praticamente contro lo schermo. Diede persino un colpetto sul vetro con le nocche, come se potesse essere di qualche utilità.
Ancora nessuna traccia dell'intruso. Mentre era intento a studiare l'anatomia femminile, la barca doveva essere entrata nella zona cieca ai piedi delle scogliere. Una seccatura, d'accordo, ma niente di catastrofico. C'era sempre l'AUV. Si girò verso un altro monitor collegato con i rilevatori del mezzo sottomarino. Mentre effettuava i suoi giri di ronda, il veicolo emetteva segnali diretti a una serie di transponder disposti ad anello tutto intorno alla spiaggia, i quali li rilanciavano al centro comando, così da poter individuare la posizione dell'AUV in qualunque momento.
Lungo tre metri e mezzo, di forma larga e appiattita, il robot sembrava una via di mezzo fra una manta e uno squalo, e terminava con un'alta pinna dorsale. Una delle guardie aveva affermato che il suo profilo minaccioso gli ricordava la ex suocera Gertrude, e il nomignolo gli era rimasto appiccicato. Gertrude si muoveva a poca distanza dalla superficie, con il sonar che scandagliava le acque per cento piedi su ciascun lato, mentre le videocamere riprendevano il panorama sottomarino circostante.
Era altresì possibile trasmettere istruzioni all'AUV, il che offriva vantaggi incalcolabili, vista la doppia funzione del veicolo quale cane da guardia sottomarino e trasportatore di armi. Il mezzo aveva in dotazione quattro piccoli siluri, ciascuno talmente potente da affondare un cacciatorpediniere.
Max ordinò a Gertrude di spostarsi a tutta velocità nella zona in cui aveva avvistato la barca per l'ultima volta. Poi premette un pulsante dell'interfono.
«Spiacente d'interrompere la vostra partita, ragazzi, ma abbiamo una barca all'interno della zona di sicurezza.»
L'equipaggio della sorveglianza stava giocando a poker in una delle baracche, quando l'altoparlante gracchiò la notizia della presenza di un intruso. Due degli uomini avevano fatto parte della Legione straniera francese, un terzo era un mercenario sudafricano. Fu proprio quest'ultimo a gettare le carte sul tavolo con aria disgustata per andare a rispondere all'interfono.
«Qual è la posizione dell'obiettivo?»
«È penetrato nel perimetro di sicurezza sul lato nord e si è portato nella zona cieca del radar. Ho spedito Gertrude a dare un'occhiata.»
«Al diavolo!» bofonchiò il mercenario. «La fortuna mi ha proprio abbandonato, stasera.»
Infilati la giacca e gli stivali, i tre uomini afferrarono i compatti fucili d'assalto FA MAS e un istante più tardi trotterellavano già verso l'estremità della banchina avvolta dalla foschia per salire a bordo di un canotto a chiglia rigida da nove metri. Avviati i due motori diesel, tolsero gli ormeggi e di lì a poco il sistema di propulsione a getto d'acqua faceva volare l'imbarcazione a quasi quaranta nodi.
Il canotto era in mare da pochi minuti soltanto quando l'addetto al centro comando riferì che l'obiettivo era ricomparso sul radar all'altezza della bocca dell'insenatura. Guidati i colleghi nei pressi del bersaglio, rimase a osservare i due segnali che si avvicinavano sino a fondersi sullo schermo.
Mentre due delle guardie si tenevano pronte a far fuoco su qualsiasi oggetto in movimento, il tizio alla guida fece accostare il canotto che illuminò con la luce di testa la fiancata scrostata dell'altro scafo. Abbassato il fucile, il sudafricano scoppiò in una risata, subito imitato dai compagni.
«Spooter», ansimò. «Abbiamo interrotto la nostra partita a poker per un cannolicchio?»
«Di che ti lamenti? Ti stavi perdendo anche le mutande.»
E si abbandonarono a un'altra risata.
«Meglio salire a bordo della bagnarola», suggerì il pilota.
Era tutta gente con una preparazione di tipo militare, che non avrebbe consentito all'ilarità d'interferire con l'istintiva prudenza. Le frivolezze cedettero il passo al rigore dell'addestramento ricevuto. Non appena il canotto si fu accostato al creeler, due di loro salirono a bordo con le armi spianate, mentre il terzo li copriva. Controllarono la timoniera deserta, poi aprirono il boccaporto per dare un'occhiata sottocoperta.
«Niente», gridò il mercenario a quello rimasto sul canotto, addossandosi alla battagliola per accendersi una sigaretta.
«Non mi ci appoggerei troppo, se fossi in te», lo ammonì il compagno.
«Diavolo, qualcuno ti ha forse nominato mio tutore?»
Con un sogghigno, il legionario tornò a bordo del canotto. «Fa' come ti pare, ma stai attento a non bagnarti i piedi.»
Il sudafricano abbassò lo sguardo sui propri stivali. Affluendo dal boccaporto del vano motore, l'acqua stava rapidamente invadendo il ponte. La barca affondava. L'uomo lanciò un grido che scatenò le risate degli altri.
Quello al timone allontanò di qualche metro il canotto come se volesse lasciare il collega al suo destino, ma fu investito da una tale sfilza di imprecazioni in afrikaans che si affrettò a tornare indietro.
Dopo che il mercenario si fu lasciato letteralmente cadere accanto ai colleghi, rimasero a contemplare l'acqua che raggiungeva le frisate. Non era rimasto che l'albero, ormai, e nel giro di pochi minuti scomparve anche quello. Unica prova dell'esistenza della barca, una chiazza d'acqua che ribolliva di bollicine.
«Okay, bastardi», borbottò il sudafricano. «Adesso che vi siete divertiti, rientriamo e stappiamo un'altra bottiglia.»
L'uomo al timone, intanto, stava facendo rapporto via radio al centro comando.
«Non ha senso», commentò l'addetto al radar. «La bagnarola procedeva in linea retta quando l'ho avvistata sullo schermo.»
«Avevi bevuto?»
«Naturale che avevo bevuto.»
Tutta la squadra aveva festeggiato, dopo che le guardie di stanza presso i laboratori avevano sparso la voce di una possibile, prossima fine della missione sull'isola.
«Questo spiega tutto.»
«Ma...»
«Ci sono correnti molto forti intorno alla maledetta isola; potrebbe esserci finita dentro.»
«Possibile», mormorò Max.
«Non so che dirti, amico. La barca è comunque colata a picco, e noi stiamo rientrando.»
La voce dal centro comando tornò a farsi sentire. «State attenti a Gertrude. Si trova lì attorno.»
Qualche istante più tardi, l'alta pinna del robot solcò l'acqua a poca distanza dal canotto. Per quanto fossero abituati alla sua presenza, gli uomini non erano mai troppo tranquilli quando c'era l'AUV nelle vicinanze. S'innervosivano all'idea del suo potenziale distruttivo, del fatto che operasse per lo più in modo autonomo. L'AUV si arrestò a una quindicina di metri da loro. Stava confrontando il profilo sonoro del canotto di pattuglia con le informazioni immagazzinate nel proprio database.
«Avrei una maledetta voglia di sapere se è armato o no.»
Risate. «Lasciamo ai pesci il compito di accertarsene.»
«Giusto. Togliamoci di torno.»
Con un rombo dei motori diesel, il canotto compì una stretta virata puntando verso il molo.
La pinna scivolò avanti e indietro per parecchi minuti, procedendo lungo linee parallele in uno schema di ricerca a griglia. Il sonar colse la presenza della barca da pesca ormai adagiata sul fondo, e ne trasmise l'immagine.
Dopo aver studiato a lungo il monitor, l'addetto al radar ordinò all'AUV di riprendere il normale pattugliamento.
Qualche minuto dopo che l'AUV si fu allontanato, due figure emersero dalla cabina della barca affondata e con ritmici, potenti colpi di pinna cominciarono a divorare la distanza che le separava dall'isola.